16 Luglio 2025 Giudiziaria

LA SENTENZA: ANCHE PER I GIUDICI D’APPELLO NON DIFFAMATORIE LE INCHIESTE DI MAZZEO SU CATTAFI E DIBECA

di Enrico Di Giacomo - "Alla luce delle considerazioni che precedono... deve escludersi il carattere diffamatorio degli articoli contestati, non ravvisandosi in tali scritti alcuna espressione offensiva o lesiva della reputazione e dell'onore della società' appellante. L'appello deve, pertanto, essere rigettato".

La Seconda sezione Civile della Corte d'Appello di Messina, composta dai giudici Giuseppe Minutoli (presidente), Antonino Zappalà e Maria Luisa Tortorella, ha rigettato l'appello che la società Dibeca s.a.s. (difesa dall'avv. Chiara Mostaccio), nel gennaio del 2023, aveva presentato contro la sentenza del giudice Elsa Di Giovanni (di giugno 2022), con la quale il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva rigettato la richiesta al pagamento dei danni avanzata dagli architetti Mario e Santino Nastasi (fratelli) e Giovanni Cattafi, oltre che dalla stessa Dibeca (di cui ha fatto parte per un periodo lo stesso Rosario Cattafi) nei confronti dei giornalisti Antonio Mazzeo, Antonello Mangano, Peppino Restifo, Enrico Di Giacomo Giorgio Bongiovanni, Aldo Romaro e di Emanuele Scimone.

Non c'e' stata alcuna diffamazione, dunque, negli articoli pubblicati tra settembre e novembre del 2009 sul sito Internet 'www.antimafiaduemila.com' e sul blog 'www.enricodigiacomo.org' e dedicati all'affare del Parco commerciale di Barcellona Pozzo di Gotto e, in particolare, al ruolo ricoperto dalla societa' DiBeca e dalla famiglia legata all'imprenditore Rosario Pio Cattafi, condannato con sentenza definitiva del 16 maggio 2023, a 6 anni di carcere per associazione di stampo mafioso. Gli articoli contestati, con 'focus' rivolto "al business dei centri commerciali" in odore di Mafia, erano già stati considerati, nella sentenza di primo grado, dalla giudice Di Giovanni, frutto di "un lavoro di ricerca delle fonti minuzioso e dettagliato, sintomatico dell'interesse a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti".

L'APPELLO DELLA DIBECA.

La Dibeca s.a.s. aveva agito in giudizio chiedendo la condanna al risarcimento dei danni a causa della pubblicazione di alcuni articoli a firma di Antonio Mazzeo che riguardavano la realizzazione del Parco Commerciale nel comune di Barcellona Pg. In questi articoli, secondo la tesi degli appellanti, la Dibeca veniva indicata come una società mafiosa che intratteneva rapporti con soggetti legati ad ambienti criminali. La Dibeca, nell'appello presentato, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di primo grado aveva ritenuto gli articoli pubblicati il frutto di inchieste giornalistiche senza considerare che Antonio Mazzeo, autore degli articoli contestati, "non è giornalista, e poi che la misura di prevenzione del 2000 alla quale si fa riferimento negli articoli è atto secretato cosi come la relazione della commissione prefettizia relativa al condizionamento mafioso dell'amministrazione comunale di Barcellona Pg, con conseguente venir meno dell'esimente del diritto di cronaca e di critica". Inoltre la Dibeca, tra i motivi dell'appello, aveva contestato il Tribunale nel "non qualificare la condotta degli appellanti ('l'accostamento tra Rosario Pio Cattafi e la Dibeca e la raffigurazione della Dibeca come società legata ad ambienti malavitosi') come diffamatoria nei confronti della appellante, con conseguente riconoscimento del diritto in capo a quest'ultima di ottenere il risarcimento dei danni subiti".

L'appello presentato nei confronti di Antonio Mazzeo, Antonello Mangano, Giuseppe Restifo, Enrico Di Giacomo, Giorgio Bongiovanni, Emanuele Davide Scimone  e Aldo Romaro è stato dunque ritenuto dai giudici d'appello infondato.

Deve ritenersi "irrilevante la mancanza di iscrizione all'albo dei giornalisti da parte del Mazzeo, autore degli articoli - sottolineano in un passaggio significativo i giudici - atteso che la diffamazione a mezzo stampa e le relative esimenti possono configurarsi in tutte le ipotesi di pubblicazione di un articolo, a prescindere dalla qualifica dell'autore dello stesso nonchè, per altro verso, le dedotta segretezza degli atti e dei provvedimenti citati da Mazzeo nei suoi articoli, potendo il giornalista avvalersi anche di fonti riservate".

"Nel caso preso in esame", scrive la giudice estensore Maria Luisa Tortorella, "gli articoli contestati rientrano, come correttamente ritenuto dai giudici di primo grado, nel filone del cosiddetto giornalismo d'inchiesta, atteso l'interesse pubblico alla notizia, riguardante la realizzazione di un grande parco commerciale nel comune di Barcellona Pg che Antonio Mazzeo ha collegato all'indagine svolta dalla commissione prefettizia sulla presenza di infiltrazioni mafiose nell'amministrazione comunale ed alla segnalazione, emersa da tale relazione, di un contratto stipulato dal comune di Barcellona con la società odierna appellante, i cui soci sono legati da rapporti di parentela con l'avv. Rosario Pio Cattafi, soggetto coinvolto in numerose vicende giudiziari. I rapporti di parentela tra i soci della Dibeca s.a.s. e l'avv. Cattafi sono un fatto certo, sicché sul punto il Mazzeo ha solo riferito l'evoluzione della compagine societaria, oggettivamente verificabile; originariamente, infatti, socio della Dibeca era anche l'avv. Cattafi e attualmente sono soci Alessandro Cattafi, Maria Cattafi e Nicoletta Di Benedetto, rispettivamente figlio, sorella e madre di Rosario Pio Cattafi".

La Corte d'Appello ha sottolineato poi che "la circostanza che Mazzeo abbia riferito negli articoli contestati le vicende anche risalenti nel tempo all'avv. Cattafi (la misura di sorveglianza speciale del 2000), è sintomatica dell'interesse che l'autore dell'articolo voleva suscitare nel lettore, verosimilmente ignaro dei tali provvedimenti, senza che possa tuttavia configurarsi alcuna volontà diffamatoria nei confronti della società appellante".

Per i giudici Antonio Mazzeo "si è limitato a riportare le considerazioni contenute nella relazione redatta nel 2006 dalla commissione prefettizia... contenente anche il riferimento al contratto di locazione stipulato dal comune di Barcellona con la Dibeca ed attenzionato nella relazione proprio a causa dei legami tra la predetta società e Cattafi".

"La circostanza che la relazione non abbia poi avuto alcun seguito, non avendo il Ministero ritenuto di procedere allo scioglimento del consiglio comunale, e le critiche a tale decisione da parte di Mazzeo negli articoli contestati - scrivono ancora i giudici - non incidono in alcun modo sulla asserita portata diffamatoria degli articoli nei confronti della Dibeca, non coinvolgendo in alcun modo tali considerazioni la compagine societaria".

Per i giudici d'appello il giornalista Antonio Mazzeo ha riferito la vicenda relativa al Parco commerciale di Barcellona analogamente a quanto riportato da altre testate giornalistiche, "certamente di interesse pubblico... con accostamenti certamente suggestivi, ma non con espressioni offensive o meramente denigratorie nei confronti della società".

Insomma per i giudici, dalla lettura degli articoli, "non emerge alcuna aggressione personale nei confronti della Dibeca da parte dell'autore degli scritti; gli articoli si occupano in massima parte di questioni relative alla realtà barcellonese soffermandosi sulla figura dell'avvocato Rosario Pio Cattafi, i cui legami parentali con i soci della Dibeca viene più volte evidenziata dall'autore degli scritti ma senza espressioni offensive o ingiuriose".

I giudici Minutoli, Zappalà e Tortorella affermano nelle loro motivazioni come "la ricostruzione della vicenda del Parco... sono circostanze vere che risultano dal Mazzeo collegate non in modo arbitrario o pretestuoso, ma piuttosto tendenzioso, modalità inidonea a configurare una condotta diffamatoria imputabile all'autore degli articoli contestati".

Appello, dunque rigettato, e condanna per la Dibeca s.a.s. al pagamento, a favore degli appellanti, difesi dall'avvocato Carmelo Picciotto, delle spese processuali liquidate in 8.500 euro per compensi, oltre al rimborso delle spese generali. 

LA SENTENZA DI PRIMO GRADO DEL 2022: Articoli frutto di “un lavoro di ricerca delle fonti minuzioso e dettagliato".

Per la giudice della sezione civile del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, Elsa Di Giovanni, che aveva emesso la sentenza di primo grado nel giugno del 2022, quegli articoli, con 'focus' rivolto "al business dei centri commerciali" in odore di Mafia, erano frutto di "un lavoro di ricerca delle fonti minuzioso e dettagliato, sintomatico dell'interesse a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti".

"Le notizie dal sapore inquisitorio tipico dell'inchiesta su affari di pubblico interesse - scriveva la giudice nelle motivazioni - risultano riportate, nella maggior parte della estensione contenutistica, attraverso le virgolette, sintomo della riproduzione delle fonti" da cui ha attinto il giornalista Antonio Mazzeo, poi diffusi telematicamente da Enrico Di Giacomo (direttore responsabile del blog) e Giorgio Bongiovanni (direttore responsabile della rivista on line Antimafiaduemila), tutti e tre processualmente tutelati all'epoca dagli avvocati Fabio Repici e Maria Rita Cicero (nel processo erano imputati anche Antonello Mangano e Giuseppe Restifo, anch'essi assolti e difesi dall'avvocato Carmelo Picciotto).

Tra le fonti citate figurano la relazione della Commissione prefettizia sul condizionamento mafioso del Comune di Barcellona P.G. del luglio 2006, l'informativa del Gico di Firenze del 3 aprile 1996 e la relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia della XIV legislatura, primo firmatario Giuseppe Lumia. Per la giudice, l'inchiesta giornalistica, oggetto di contestazione, "resta confinata entro le maglie del rispetto della dignita' umana e professionale, stante l'assenza di aggettivi qualificativi aggressivi o dileggiatori rivolti alla persona umana o alla figura professionale".

Quanto poi alla circostanza per cui la DiBeca viene "indicata come una societa' mafiosa che intrattiene rapporti economici con soggetti contigui ad ambienti criminali di natura mafiosa, inserita in una cittadina anch'essa mafiosa", il tribunale aveva osservato che, "dalla lettura dei contenuti degli articoli, oggetto di puntuale trascrizione gia' nel corpo della citazione introduttiva - oltreche' di produzione - non consta evidenza di impiego di locuzioni definitorie della societa' in questione elusive del canone della continenza giornalistica". Insomma, "gli stessi articoli sono rivelatori dell'intento primario di sensibilizzare l'opinione pubblica su affari di interesse generale, perseguito mediante il richiamo a fonti di informazione di attendibile provenienza la cui matrice investigativa non puo' che riflettersi sul tono suggestivo impiegato senza, tuttavia, tradursi in attacco personale".