LOGGIA UNGHERIA: Confermata nell’appello bis la condanna di Piercamillo Davigo per il caso dei verbali di Amara
La seconda sezione penale della Corte d'Appello di Brescia ha confermato la sentenza di condanna a un anno e tre mesi per l'ex magistrato Piercamillo Davigo imputato per 'rivelazione del segreto d'ufficio' in relazione alla vicenda dei verbali resi dall'avvocato Piero Amara sulla presunta 'Loggia Ungheria'. L'esistenza della Loggia, ricordiamo, e' stata già esclusa dal tribunale di Perugia.
Gli avvocati Franco Coppi e Davide Steccanella, che assistono Davigo, potranno presentare di nuovo ricorso in Cassazione dopo il deposito delle motivazioni attese tra novanta giorni.
"Presentiamo ricorso perché resto convinto che la condotta del mio assistito sia stata ispirata solo al ripristino della legalità e non abbia arrecato alcun danno a un'indagine che senza il suo intervento, sollecitato dall'assolto Storari, non sarebbe neppure partita", ha commentato l'avvocato Steccanella
I giudici della seconda sezione penale, nel processo d'appello bis, hanno anche condannato Davigo al pagamento delle ulteriore spese processuali e alla rifusione delle spese di assistenza in giudizio in favore della parte civile, l'ex consigliere del Csm Sebastiano Ardita difeso dall'avvocato Fabio Repici.
La decisione della Cassazione per l’Appello Bis.
La suprema corte aveva già condannato a un anno e tre mesi, con pena sospesa, l’ex magistrato per rivelazione del segreto d'ufficio in concorso con il pm Paolo Storari (assolto). Tuttavia la Cassazione aveva annullato con rinvio a un nuovo processo la condanna per la successiva divulgazione degli stessi ad altri componenti del Csm, all'allora presidente della commissione nazionale antimafia, il senatore Nicola Morra, e a due sue collaboratrici amministrative.
Secondo le motivazioni della sentenza, l'ex consigliere del Csm era consapevole del corretto percorso istituzionale che avrebbe dovuto consigliare di seguire a Storari per "superare la situazione di stallo" presente in Procura a Milano per la presunta inerzia nella gestione delle dichiarazioni di Amara. Tuttavia, nonostante questa consapevolezza, Davigo, scrivono i magistrati, ha indotto Storari a consegnargli i verbali nell'aprile 2020. Questo elemento, secondo la Cassazione, giustifica la correttezza della decisione della Corte d'Appello di Milano nel ritenere Davigo responsabile di rivelazione del segreto d'ufficio, mentre Storari è stato assolto definitivamente.
Gli ermellini evidenziano che Davigo avrebbe dovuto suggerire a Storari di interfacciarsi con il procuratore generale di Milano, invece di intraprendere un percorso alternativo che ha messo in pericolo la riservatezza delle informazioni.
Lo scorso maggio la Suprema corte aveva respinto il ricorso straordinario, dopo tre sentenze – di primo grado, d’appello e di Cassazione – di condanna per rivelazione di segreto ovvero per aver diffuso i verbali di Piero Amara sulla loggia Ungheria. Il ricorso straordinario degli avvocati Franco Coppi e Davide Steccanella, dopo la prima pronuncia della Cassazione, aveva messo in evidenza la contraddittorietà delle tre sentenze di condanna.
La vicenda nasce nella primavera del 2020. Il pm di Milano Paolo Storari riteneva che la sua procura non stesse approfondendo le dichiarazioni di Amara, ex avvocato esterno dell’Eni, che parlava della (poi indimostrata) esistenza della Loggia Ungheria.Una convinzione che lo portò a contattare Davigo, allora consigliere del Csm, per denunciare l’inerzia dell’ufficio governato da Francesco Greco. I verbali di Amara, però, erano stati secretati.
Per quelle dichiarazioni, ritenute inattendibili, l’avvocato Amara è stato rinviato a giudizio per calunnia e autocalunnia, e il fascicolo aperto sulla base dei verbali, trasmesso a Perugia per competenza territoriale, è stato archiviato su richiesta della stessa Procura, così come il procedimento per omissione d’atti d’ufficio aperto a Brescia nei confronti di Greco. Storari, imputato insieme a Davigo, ha optato invece per il rito abbreviato ed è stato assolto sia in primo grado che in appello perché “il fatto non costituisce reato”: assoluzione che è poi diventata definitiva.